Come si supporta un team di comunicazione digitale?

Francesca Anzalone, esperta di comunicazione e cultura digitale, specializzata in comunicazione di emergenza e crisi

Come si supporta un team di comunicazione digitale? Questa è la domanda che vorrei che nascesse spontanea e naturale all’interno di aziende, enti, istituzioni, PA attorno al tema della comunicazione e più ancora della comunicazione digitale; ma che ancora non arriva.

Ciò che ruota attorno a questo aspetto è piuttosto un pensare: “E’ di competenza del team comunicazione. Se ne occupano loro”. Come se le informazioni, le esperienze di ogni singola persona non fossero elementi caratterizzanti del brand. E il punto è esattamente questo: riconoscersi nel brand, sentirsi parte e, dunque, contribuire a renderlo “unico”. Perché l’unicità del brand non è un artificio, è l’unicità delle persone a renderlo unico e speciale.

Come si supporta un team di comunicazione digitale?

Un team di comunicazione digitale si supporta nel rendere speciale il brand, quel “a valore aggiunto”, dove il valore aggiunto è ciascunə di noi che si riconosce nella reciprocità, nella consapevolezza e nella responsabilità di scelta.

Ma prima di addentrarci in questo approfondimento, che ci condurrà “all’opposto”, voglio dirti grazie! per l’attenzione, la fiducia, il rispetto e la reciprocità in quel #consapevolementeconnessi che da anni rappresenta il mio perché con il digitale. E che mi stai dimostrando in questi mesi insieme.

Stiamo crescendo come Community, e stiamo costruendo una comunicazione consapevole e responsabile, una comunicazione a valore aggiunto, dove questo valore aggiunto è esattamente ciascunə di noi. E grazie anche a te che da oggi entrerai a far parte di questa Community, benvenutə in una nuova comunicazione: leale, consapevole e responsabile basata su relazioni significative. Attendo le tue riflessioni.

Il digitale presenta rischi di comunicazione che prima d’ora non erano mai stati così alti

Il digitale ci ha offerto grandi opportunità di crescita per il business e per l’immagine; e sicuramente l’evoluzione nei suoi strumenti e nelle sue dinamiche ci sorprenderà ancora. Ciò che dobbiamo ricordare è esattamente questo: ha dinamiche differenti da qualsiasi altro mezzo di comunicazione, ha una partecipazione attiva e disintermediata, è una finestra sul mondo aperta h24 e 7 su7 e dunque, presenta rischi di comunicazione che prima d’ora non erano mai stati così alti.

Abbiamo aperto un punto di accesso a 360 gradi, ma stiamo commettendo l’errore di osservarlo solo dalla nostra angolazione; lasciando vuoti attorno che rischiamo di fare colmare da fraintendimenti o narrazioni manipolatorie. Abbiamo bisogno, dunque, del maggior numero di angolazioni possibili. Riflettiamoci.

Come sempre mi piace condividere con te esperienze, riflessioni e spunti che, a partire dalla mia percezione diretta, mi portano a desiderare un confronto e un approfondimento.  E oggi non posso non pensare a quante volte nelle aule fisiche e virtuali ho ascoltato la frase “se ne occupa il team di comunicazione” come se solo il team di comunicazione avesse “il diritto di narrazione” sul brand, la storia, i valori. Ma il punto non è criticare, ma comprendere il perché “solo il team di comunicazione ne può parlare”, ed ecco che troviamo le risposte necessarie per costruire il percorso nuovo e corretto. “Perché sa come farlo, perché conosce tutti i dettagli, e sa cosa deve dire”. Manca la cultura della comunicazione che porta alla formazione di tuttə il capitale umano.

Riflettiamoci:

Abbiamo coinvolto il capitale umano nella narrazione? Abbiamo condiviso i valori, la storia, l’identità del brand prima di creare il piano editoriale? Abbiamo raccolto tutte le informazioni, gli aneddoti, strutturato un’area online in cui condividere la Cultura aziendale? In cui abbiamo inserito delle video lezioni con le linee guida, l’identità del brand, la semantica da utilizzare e la cultura della comunicazione che rappresenta un modus operandi? E dunque un’attività formativa riconosciuta come necessaria a tuttə? Realizziamo momenti di Mastermind Group per affrontare una tematica da più punti di osservazione? O “non vogliamo sprecare tempo con riunioni i cui contenuti possono essere svolti dal team di comunicazione”? O ci siamo limitatə a scegliere ciò che rappresentava, secondo un unico punto di vista la narrazione migliore da condividere? Magari costruendola “solo” rispetto a quella dei competitor?

Comunicazione a valore aggiunto significa inserire anche un fattore +2% nell’attività di ascolto, oggi centrale

Ed è qui che risiede il rischio maggiore: avere una sola angolazione attraverso la quale guardare e non ascoltare. Oggi l’ascolto è il valore aggiunto che ci permette di diminuire i rischi di crisi di comunicazione e reputazionali. Quel fattore + 2% a valore aggiunto che ci permette di aumentare la sicurezza della nostra comunicazione. E anche in questo caso, se fino a qualche anno fa ricordavo di produrre contenuti per il 50% e ascoltare per l’altro 50%, oggi sostengo che per il 52% si deve ascoltare attivamente, e per il 48% produrre. Il contenuto che esce deve essere frutto di un ascolto attivo e di una relazione significativa che si vuole instaurare con il nostro interlocutore.

Dobbiamo tenere sempre a mente che si tratta di un mezzo in costante evoluzione, completamente differente nelle modalità da qualsiasi altro e aperto alla partecipazione attiva. Per costruire attraverso una comunicazione consapevole e responsabile dobbiamo dunque ascoltare. Il cambiamento è il suo tratto più significativo, si tratta di un mezzo in costante evoluzione con un’apertura sul mondo a 360° e l’ascolto attivo è sicuramente un tratto sul quale porre grandissima attenzione. Il che significa che l’angolazione dalla quale guardavamo prima è un’ottica troppo ridotta rispetto al messaggio e alle sue numerosissime potenziali interpretazioni.

Se questo avviene con mezzi tradizionali, come ad esempio i quotidiani, pensiamo ad un mezzo la cui partecipazione all’informazione e all’interpretazione di essa è pubblica e con accesso semplificato. Ti è mai capitato di leggere lo strillo di una testata e paragonandolo a quello di un’altra chiederti “ma è la stessa notizia?”. Magari quando sei vicino a un semaforo e l’edicola espone gli strilli di più testate? Ora ripensiamo alla stessa notizia distribuita nel web, commentata e ricondivisa da centinaia, migliaia e centinaia di migliaia di persone con la propria interpretazione.

Cambia il mezzo, cambiano i comportamenti sociali online, cambia l’approccio all’informazione e alla gestione della stessa. Ha nuove logiche, nuove caratteristiche, nuovi meccanismi distributivi e nuove interpretazioni (che non significa errate, ma con aspettative differenti, esperienze differenti, formazioni differenti e contesti differenti e dunque filtri differenti). E’ nel “differente” che risiede la ricchezza di punti di osservazione, di ispirazioni, e di attenzioni a “come non farsi fraintendere”. Perché “Non conta quello che vuoi dire, ma conta quello che percepisce il tuo interlocutore” (P. E. Balboni, così si apriva il mio primo libro “Comunicare in rete, l’usabilità”, 2001).

Investire nella reciprocità e creare una cultura basata sulla collaborazione leale, consapevole e responsabile

Ed è in questo scenario che si inserisce la comunicazione oggi: la reciprocità, qualsiasi informazione, contenuto, avrà un “ritorno” e non è detto che sia positivo. Ma è ciò a cui dobbiamo sempre prestare attenzione, ovvero generare, permettere e contribuire alla reciprocità costante, tutelando.

A questo punto non ci resta che chiederci: Come si supporta un team di comunicazione? Mettendo al centro dell’analisi la reciprocità dell’informazione, del contenuto, del pensiero, del valore e della visione con il maggior numero di punti di osservazione differenti. E dunque offrendo un punto di osservazione “nuovo”, sia dal punto di vista dei rischi che delle opportunità. Mostrando nuove angolazioni su cui poter allargare la visione. Rafforzando il proprio senso di appartenenza con “il perché scegliere questo brand” e aggiungendo valore aggiunto costante.

Questo comporta un ulteriore punto di riflessione: dobbiamo tuttə aggiornarci quotidianamente e avere la visione più ampia possibile del brand, delle angolazioni di altrə e di come poter contribuire al meglio ad arricchire di valore aggiunto e a proteggere ciò che è stato realizzato fino ad oggi. Serve un Upskilling costante delle competenze. Dobbiamo costruire Cultura attorno al brand e ciò implica anche cultura della comunicazione, della condivisione e del digitale. Perché vogliamo “condivisioni” ma manchiamo di cultura della condivisione.

Allenare il pensiero critico quotidianamente e “all’opposto”

Dobbiamo lavorare in team, condividere, ascoltare la critica con la consapevolezza di ascoltare un valore aggiunto, un’informazione di tutela, protezione e di amorevole attenzione verso il brand e non prenderlo come contrasto personale. Dobbiamo allenare il pensiero critico in ciascunə di noi che, se da un  lato  significa mettere in discussione, comparare e costruire un NUOVO pensiero con il nostro valore aggiunto; dall’altro significa imparare ad ascoltare un pensiero DIFFERENTE e su questo iniziare a ragionare “a partire da una tabula rasa”.

E tornando alla domanda di apertura “Come si supporta un team di comunicazione”? La risposta sarà riconoscendoci parte del team, perché la Cultura della Comunicazione deve diventare parte del DNA di ogni azienda, la collaborazione sarà alla base delle nuove dinamiche e il pensiero differente e “ALL’OPPOSTO”  il valore che ci permetterà di costruire il percorso migliore e quella reciprocità di cui ricerchiamo sempre le dinamiche, ma che da oggi riempiremo di valore aggiunto.

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