Una pittura profonda, affascinante, drammatica nella ricerca interiore. Ma non del tutto comprensibile se non si può “vedere” a Venezia, nei luoghi dove è stata concepita. La racconta il nuovo film documentario “Jacopo Tintoretto and the new Venice”, nell’anno del cinquecentenario dalla nascita del maestro della pittura mondiale. Il regista è il veneziano Erminio Perocco, ed è una produzione in parte veneta di Kublai Film e Zetagroup, friulana di Videe, con il supporto internazionale di Arte ZDF e Gebrueder Beetz.
Il documentario, presentato in anteprima mondiale privata mercoledì 24 luglio al Cinema Rossini di Venezia, ha vinto un bando della Regione del Veneto, ottenendo un finanziamento di 30.000 euro.
Ho intervistato il regista Erminio Perocco, nato a Venezia e figlio di Guido Perocco, critico e storico dell’arte del Museo di Ca’ Pesaro, oltre che direttore della Scuola Grande di San Rocco negli anni ‘70.
di Filomena Spolaor
L’idea del film è nata dal docente di storia dell’arte Antonio Manno. Come ha deciso di raccontare la vita di Jacopo Tintoretto a Venezia?
Si tratta di un lungo progetto, durato due anni. La mia preoccupazione era riuscire a spiegare perché Tintoretto è uno dei maestri della pittura mondiale. Molto spesso queste cose vengono date per scontate, ma non si vedono “davvero”. La grandezza di Tintoretto risiede nella rottura con la tradizione pittorica precedente e la ricerca della realtà.
Il quadro fissa l’istante di una scena, che però si svolge in un tempo e spazio più ampi. Lui affronta questi problemi in modo rivoluzionario. E’ il problema dello spazio e del tempo all’interno del quadro. Volevo cancellare l’aneddotica, quella diceria su di lui che dipingeva “velocemente”. Tintoretto disegnava su tele enormi. La sua pittura è una ricerca interiore, non è dovuta a motivi di mercato.
Tintoretto ha una vita regolare. Si sposa, ha otto figli, si compra una casa, ha problemi normali. Ma è più rivoluzionario di molti artisti. La sua pittura è profonda e affascinante. Nel mio documentario ho cercato di condurre lo spettatore a capire, godere di più del Tintoretto.
Come ha affrontato la sceneggiatura?
Dal punto di vista della sceneggiatura sono partito cercando di comprendere la psicologia di Tintoretto rispetto alla problematica che aveva come pittore. Lui voleva essere un pittore moderno, nuovo. Bisognava cercare di capire l’uomo Tintoretto, i suoi problemi come artista.
Per il girato abbiamo fatto la scelta di muovere la macchina da presa, utilizzando i “bracci” che permettono alla camera di muoversi. Questo per due motivi. Il quadro di Tintoretto è sempre in movimento, rispecchia il modo di intendere il suo quadro, che non è mai fotografico, ma mostra una scena. Non congela mai l’istante. E’ più un reporter che un fotografo, mostra la sua realtà in divenire.
Dovevamo alternare la visione dei quadri con movimenti in cui l’occhio guardava dove il quadro era inserito. Abbiamo filmato i quadri dove erano nati. La vera fortuna dei quadri di Tintoretto è che si trovano dove sono pensati, nella chiesa dove erano. Fanno parte dell’ambiente. E questo grazie a Don Gianmatteo Caputo, Incaricato del Triveneto per i beni culturali ecclesiastici, che ci ha consentito di filmare i quadri come sono inseriti nell’ambiente.
Quali fonti avete utilizzato?
Di Tintoretto non abbiamo niente di scritto. Abbiamo limitato le parti in cui parla il pittore, e legate alla psicologia dell’artista. Abbiamo utilizzato vari testi di storia dell’arte, il catalogo della mostra esposta a Palazzo Ducale, gli scritti dell’epoca del Vasari e dell’Aretino.
Tra un quadro e l’altro, il film è un viaggio nei luoghi in cui sono esposte le opere, dalle chiese ai musei, fino alla sua casa a Cannaregio. Il documentario è poi arricchito da una serie di interventi di storici dell’arte, direttori di musei (tra cui quello del Prado), e artisti.
La difficoltà del documentario è che da un lato si tratta di essere molto precisi, di avere gli interventi dei maggiori e critici importanti, dall’altro utilizzare un linguaggio che possa essere compreso da tutti.
Tintoretto è “pittore della realtà”. E’ come se il suo spirito vagasse ancora per la città, nascosto tra campi e campielli. Abbiamo girato in diverse chiese, dalla Madonna dell’Orto a San Giorgio Maggiore, San Trovaso, la Madonna della Salute e la chiesa di Santo Stefano, oltre alla Scuola Grande di San Rocco, fino a Cannaregio dove il maestro abitava e nel suo atelier.
Quale segno cinematografico vuole lasciare del pittore?
Ho cercato di legare Tintoretto a Venezia. Tintoretto è un pittore che ha vissuto sempre a Venezia. È una luce di contrasti. Luci e ombre accecanti. Una luce mutevole. Ho cercato di dare le sensazioni che Tintoretto poteva avere studiando la luce meravigliosa di Venezia.
Una foto di scena